The Pride: l'abbiamo visto ieri al Sociale
Metti uno spettacolo che sia davvero uno di quelli “che ne vale la pena”
Metti una sera che si va a teatro e uscire di casa costa un po’ di fatica. Fa freddo, ma quel freddo strano che si capisce poi. Si capisce quando si torna in strada, al termine dello spettacolo, e sembra avvenuto un miracolo: Trento è finalmente bianca. La magia si è ripetuta, ora l’inverno ha recuperato i suoi colori, e anche negli occhi del pubblico si risveglia un po’ di incanto. Ci volevano forse le efficaci alchimie dell’amato commissario Montalbano a far nevicare?
Metti, inoltre, che lo spettacolo sia davvero uno di quelli “che ne vale la pena”, capace di mantenere viva l’attenzione, il pensiero e di regalare anche un po’ di divertimento. Con un teatro senza un posto libero.
Ma le storie che si intrecciano sono due, o è una sola? Il tempo trascorre o mutano solo i vestiti, i gusti, le atmosfere, e il mezzo secolo che vediamo transitare, tornare indietro, spingersi nuovamente avanti è solo un infinito presente?
Perché i quattro protagonisti, tutti all’altezza – bravissimo Zingaretti, ma a tenere la scena non è soltanto lui – escono e entrano dal palcoscenico senza soluzione di continuità, conducendo il pubblico dalla Londra del 1958 a quella del presente, “ingannando” non solo perché portano gli stessi nomi ma perché, in fin dei conti, l’essenza della narrazione non muta.
E quello che spiazza non è certo l’esuberante-malinconico giornalista gay che esce allo scoperto e ostenta ed esaspera certi stereotipi dimostrando che per nulla influiscono sulla sua serenità, e che anzi li sa "usare" per regalare degli inattesi guizzi d’umorismo A turbarlo sono invece i suoi stessi ripetuti innamoramenti, che lo portano a tradire il suo grande amore per poi tentare di riavvicinarlo a sé. E a sorreggerlo nei suoi equilibrismi è la profonda disinteressata amicizia, l’affetto che c‘è tra lui e una ragazza che tra alti e bassi, esuberanza e dubbi, cerca a sua volta un equilibrio.
Ma è l’altra storia, quella che propone il "normale" quadretto familiare, la più tormentata. Marito e moglie e un lui che condivide un'affinità d’animo con la delicata creatura femminile. Ma Sylvia, sin dall’inizio, dà la sensazione di sentirsi fuori posto, di cercare una quiete che non può trovare perché "sa", e la sua intelligenza le impedisce di fingere di non sapere, ma la sua paura della solitudine diventa uno scudo che la protegge dalla voglia di verità.
Fino a un certo punto
13/01/2017