Tappeti, mondi, questioni. Un contributo nel centenario della Grande Guerra
A Rovereto, Palazzo Alberti Poja, la mostra "Confini e conflitti. Borders and battles" dedicata ai tappeti di guerra
Si chiamano tappeti di guerra, o war rug a prescindere dalla presenza dell'arma, visto che così vengono chiamati anche i tappeti con le mappe: tutti quei tappeti dell'Est del mondo che diventano un fenomeno fagocitato dal successo commerciale nell'Ovest del mondo.
I tappeti di guerra sono legati, trama e ordito, con la storia di una regione, l'Afghanistan e le sue guerre: da quella anglo-afghana iniziata nel 1838 e conclusasi dopo alterne vicende e logoranti armistizi nel 1913; passando per quella occupazione dei territori afghani da parte delle truppe sovietiche che portò alla guerra del decennio 1979-1989, e per l'ascesa dei mujhaeddin nel periodo 1989-1992, e poi le guerre civili e il rinnovato interesse strategico che dal 1993 l'Afghanistan torna a rivestire nello scacchiere mondiale; fino all'Enduring Freedom, nome in codice della “missione” USA che dal 2001 al 2006 si configura come “guerra al terrorismo” in territorio afghano e che dal 2006, sotto altre sigle e nuove alleanze dura sino all'annuncio del maggio 2014 in cui il presidente USA dichiara che la “missione” è conclusa e che entro il 2016 tutte le truppe faranno ritorno negli States. Dal 2016 l'Afghanistan non sarà più teatro di guerra, scenario in cui operano milizie? A leggere la sua storia l'Afghanistan pare essere uno di quei fazzoletti di mondo che vale, sempre e comunque, una guerra.
Questo è il contesto imprescindibile per comprendere le ragioni di una produzione che attraverso l'atto rivoluzionario e creativo, dunque artistico, di chi tesse porta nuova linfa alla storia del tappeto orientale e non solo. Un potente atto creativo qual è l'introduzione dell'arma nel tappeto orientale tradizionale - in un gesto di sacro furore interpretato ora come esaltazione della guerra (la propaganda a vantaggio di questo o di quello), ora come resistenza alla guerra (la speranza pacifista che esorcizza il male e nobilita l'interesse), rischia di disseminare il terreno della comprensione di trappole ideologiche. Uno degli obiettivi di “Confini e Conflitti” riguarda proprio la promozione di occasioni espositive ed editoriali, anche itineranti, in grado di documentare e divulgare le numerose varianti di questi manufatti in relazione ai contesti della produzione e/o della circuitazione nel mercato internazionale, nel tentativo di superare lacune storiografiche e interpretative.
Lo abbiamo fatto scegliendo una prospettiva che è quella della disciplina geografica. Raccogliamo e accumuliamo oggetti, ci affanniamo a garantire loro tutte le cure necessarie perché la loro esistenza sia la più lunga possibile, apparecchiamo intorno ad essi seduttive macchine di intrattenimento, imbastiamo campionari di senso da riciclare all’occorrenza. Oggi, al contrario, ci sentiamo come Foucault e affidiamo gli oggetti ad altri perché scatenino scintille di immaginazione e ne moltiplichino i segni della loro esistenza. Di qui il nostro invito alla geografia e ai geografi e al loro creativo sapere critico che può irradiare possibili tempeste. Un gesto che risponde alla volontà di inaugurare un percorso di studi centrato sulla ricostruzione della complessa rete transnazionale che porta alla creazione e alla circuitazione di questi tappeti, quale espressione di una rappresentazione transculturale.
26/03/2015