Ararat
Francia/Canada, 2002
Genere: Drammatico
Durata: 115'
Regia: Atom Egoyan
Cast: David Alpay, Charles Aznavour, Eric Bogosian, Brent Carver, Marie-Josée Croze, Bruce Greenwood, Arsinée Khanjian, Christopher Plummer, Elias Koteas
Un giovane uomo di nome Raffi fa ritorno in Canada con metri e metri di pellicola 35 mm, alcune videocassette digitali e un segreto. Durante una normale ispezione doganale, il funzionario addetto, un certo David, incuriosito decide di scoprire cosa nasconde Raffi, il quale dichiara che nei contenitori cè solo del materiale extra relativo a un film girato a Toronto. David nutre però dei sospetti e linterrogatorio si trasforma in un vero e proprio esame psicologico che rivela frammenti delle loro storie personali.
Simone Emiliani
Egoyan, dopo linfelice parentesi di Il viaggio di Felicia, torna al suo cinema più vero e a quella sua grazia ipnotica capace di lasciare addosso sempre quellimpotenza di penetrare nei sentimenti altrui e di lasciare sospesi sempre attraverso la storia.
Torna sui luoghi delle origini armene il cinema di Atom Egoyan. Dopo Calendar, opera realizzata nel 1993, il cineasta canadese rivede la Storia del proprio paese attraverso unelaborazione dellimmagine che sembra costituire da sempre una cifra riconoscibile di Egoyan. Se nelle opere precedenti questa era costituita essenzialmente da filmati video, stavolta è la fotografia di una madre con un figlio e il relativo dipinto che animano una vicenda che si dirige alla ricerca delle origini del proprio popolo: levento di un genocidio causato dallesercito turco in cui hanno perso la vita un milione e mezzo di persone, di cui 600.000 armeni. Ciò avvenne nel 1915, nelle provincie orientali dellImpero Ottomano. Il tema ha suscitato forti polemiche soprattutto presso le autorità turche che si sono scagliate contro il progetto sin dallinizio. Forse è stata questa la ragione per cui il film è stato presentato fuori-concorso. Diverse vicende e personaggi sintersecano: il contrastato rapporto di Ani madre con un figlio e soprattutto con la sua ragazza (questa ritiene Ani responsabile del suicidio di suo padre); un regista che gira il film della sua vita (quello appunto ricostruito del massacro perpetuato ad opera dei turchi sugli armeni nel 1915): unattore che interpretando un cattivo rivede la storia del proprio paese. Opera sulla disperata ricerca e sullassenza dei padri, sui cortocircuiti nella comunicazione spesso frammentata dei protagonisti, su un simbolo (il monte Ararat) che lega personaggi diversi, costruita su lunghi flashback, su una forza emozionale dirompente in cui Egoyan sa come sospendere quel senso di disperazione e quella ricerca di identità attraverso dialoghi lunghi, esigenza di parlare di se stessi e della propria storia. Limmagine del figlio di Ani fermato da un funzionario della dogana per controllare delle bobine che provengono dallArmenia costituiscono una scena rivelatrice. In quella stanza buia (oscura come la sala cinematografica), sembra proiettarsi unaltro film, unaltra storia filmata parallela che non è né quella di Egoyan né quella del film ricostruito. In un cast ricchissimo in cui figurano alcuni attori propri del cinema di Egoyan (dalla moglie Arsinée Khanjian a Elias Koteas) con altri come Charles Aznavour (assente da lungo tempo sul grande schermo), Christopher Plummer e Bruce Greenwood, il cineasta canadese, dopo linfelice parentesi di Il viaggio di Felicia, torna al suo cinema più vero e a quella sua grazia ipnotica capace di lasciare addosso sempre quellimpotenza di penetrare nei sentimenti altrui e di lasciare sospesi sempre attraverso e mai dentro la storia.
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