Ararat
Francia/Canada, 2002
Genere: Drammatico
Durata: 115'
Regia: Atom Egoyan
Cast: David Alpay, Charles Aznavour, Eric Bogosian, Brent Carver, Marie-Josée Croze, Bruce Greenwood, Arsinée Khanjian, Christopher Plummer, Elias Koteas
Un giovane uomo di nome Raffi fa ritorno in Canada con metri e metri di pellicola 35 mm, alcune videocassette digitali e un segreto. Durante una normale ispezione doganale, il funzionario addetto, un certo David, incuriosito decide di scoprire cosa nasconde Raffi, il quale dichiara che nei contenitori cè solo del materiale extra relativo a un film girato a Toronto. David nutre però dei sospetti e linterrogatorio si trasforma in un vero e proprio esame psicologico che rivela frammenti delle loro storie personali.
Egoyan (Exotica, Il dolce domani, Il viaggio di Felicia), nato in Egitto da genitori armeni nel 1960 e cresciuto in Canada, conduce un'appassionata ricerca sulle proprie origini e sulla storia del suo popolo, operazione delicata e complessa che lavora sui piani incrociati di tre generazioni. Presentato a Cannes nel 2002, uscito in Italia l'anno successivo, con ritardo rispetto alla data prevista del 24 aprile, giornata mondiale della memoria del genocidio armeno, è un invito struggente a non dimenticare.
L'uscita nelle sale di Ararat, ultima fatica del regista armeno-canadese Atom Egoyan, era stata stabilita per il 24 aprile, data ufficiale della commemorazione del genocidio degli armeni. L'alba di quel tragico sabato del 1915, infatti, vide l'arresto in massa degli armeni di Costantinopoli, decretando, in questo modo, la risolutezza da parte dei turchi di far piazza pulita di questo popolo sul territorio ottomano. Con qualche giorno di ritardo rispetto alle previsioni (ritardo che però non ha nessuna motivazione politica, bensì burocratica), il lungometraggio presentato a Cannes arriva sui nostri schermi. Nel film un regista (Charles Aznavour/Atom Egoyan) sta allestendo il suo set dove si muovono protagonisti turchi (Elias Koteas) e comparse armene nel tentativo di disseppellire queste drammatiche pagine di storia spazzate via dalla memoria. A questo filo conduttore che dà il titolo al film Ararat (il monte dell'arca) si intreccia la storia personale di Raffi (l'esordiente David Alpay), giovane di origine armena che, ritornando dalla Turchia con ancora sigillati metri e metri di pellicola (almeno così sostiene lui), viene fermato alla dogana per un interminabile controllo.
Come nei precedenti Il viaggio di Felicia, Exotica, Next of Kin, è ancora una volta la dogana a costituire l'atmosfera simbolica di confine tra mondi geofisici opposti: un luogo ibrido che ostacola il passato e catapulta nel futuro, ma anche un luogo denso di storia perché vertice di incontri generazionali e culturali.
L'anziano regista viene bloccato con il divieto di varcare il confine con un frutto straniero, il melograno, che Aznavour deciderà di mangiare davanti agli occhi del doganiere, nella prospettiva di portare la storia almeno dentro di sé. Messaggero di una tragedia collettiva di dimensioni incalcolabili, insieme ai figli dei sopravvissuti all'olocausto tenta di mettere in scena il dramma della sua esistenza, un tentativo, questo, che suona come un urlo disperato e che fa da eco ai pirandelliani Sei personaggi in cerca d'autore. Una lotta che viene ostacolata dalla controparte e che, sminuita nelle pagine dei libri, trova la sua ragione di essere nella divulgazione orale tra le generazioni. Ogni sopravvissuto diventa in questo modo un libro ambulante che trasporta dentro di sé un frammento di storia (non si può a questo proposito, non ricordare Fahareneit e il debito che Egoyan deve alla Nouvelle Vague in generale). "Papà, perché non hai detto amen?". "L'ho detto dentro di me".
Se in questa indagine così intima sulla verità riconosciamo la firma di Egoyan già dalla lenta e stretta panoramica di apertura sulle foto, i disegni, i ritratti; e se comprendiamo il peso del futuro che tende a schiacciare la memoria già nel titolo del film che muta i suoi caratteri armeni in lettere occidentali, ci troviamo invece spiazzati di fronte a un paradosso: il made in Atom che rintracciavamo nella presenza costante delle immagini video all'interno dei suoi film straborda in un vero e proprio film nel film, quasi a volerci ribadire che la verità si annida sempre dove crediamo ci sia la finzione. Tra i miraggi delle tante immagini fotografate o filmate Egoyan consacra, questa volta, quelle create con il pennello: il dipinto di Gorkij che, come in un tuffo in un fiume dantesco, salva dall'oblio e lega indissolubilmente i destini, tanto da avvicinare con un simbolico incesto (degno di Chabrol, ma anche dell'egoyano Il dolce domani) le nuove generazioni.
Fabiana De Bellis, 01/05/2003 da: www.frameonline.it/Rec_Ararat.htm