Il 23 maggio 1310 papa Clemente V pose a capo della Chiesa di Trento Enrico, abate del monastero cistercense di Villers-Bettnach in diocesi di Metz, cancelliere del re di Germania Enrico VII di Lussemburgo. L'ufficio del nuovo vescovo alla corte imperiale, la morte del conte Ottone di Tirolo e la personalità dell'ultimo figlio di Mainardo, Enrico, più disposto dei fratelli alla ricerca di vie di pacificazione e di compromesso, aprirono una nuova stagione, segnata dal ripristino del potere vescovile e da una maggiore stabilità rispetto al recente passato.
Enrico da Metz non si recò subito nella sua diocesi, ma ne prese possesso tramite procuratori il 25 novembre 1310; qualche giorno dopo (2 dicembre) ottenne da Mantova la restituzione del «Libro di San Vigilio» (il Codex Wangianus) che Filippo Bonacolsi si era portato in patria. Seguì il suo sovrano nella spedizione italiana che doveva procurare a quest'ultimo nel 1312 la corona imperiale e, l'anno successivo, la morte. Solo a quel punto il vescovo fece il suo ingresso in diocesi (autunno 1313), ottenendo dal conte del Tirolo la restituzione dei poteri temporali. Iniziò allora un periodo di governo relativamente lungo e pacifico in una diocesi che dalla metà del Duecento in poi aveva visto i propri vescovi coinvolti soprattutto in vicende politico-militari e sovente costretti all'esilio.
Il vescovo Enrico «seppe lodevolmente conservare l'amicizia del conte del Tirolo», come venne poi scritto nel suo elogio funebre: riuscì cioè a conservare buoni se non ottimi rapporti con l'ultimo figlio di Mainardo. Ciò gli rese più agevole il compito di riorganizzare il principato vescovile (al suo periodo di governo risale la costituzione di una vera e propria cancelleria) e di tenere il proprio territorio al di fuori dei conflitti. Nei primi mesi del 1327 il re di Germania Ludovico IV, in viaggio verso Roma, attraversò la valle dell'Adige e si fermò per qualche tempo a Trento, dove si incontrò con i capi del partito ghibellino; questi lo sostenevano e si opponevano invece al partito guelfo, appoggiato dal re di Francia e da papa Giovanni XXII. Il vescovo mantenne una posizione di neutralità, uscì dalla città e non interferì con il passaggio del re; l'episcopato fu così risparmiato da guerre e distruzioni. Forte era nel contempo il legame politico tra il principato vescovile trentino e la potente casata dei Lussemburgo, il cui principale esponente era allora il figlio di Enrico VII, Giovanni, re di Boemia: nel 1330 la dodicenne Margherita, figlia ed erede di Enrico del Tirolo, andò sposa proprio al figlio del re boemo, Giovanni Enrico (il quale aveva allora otto o nove anni). Si preparava così l'annessione dinastica del Tirolo ad una delle più potenti famiglie europee: il vescovo di Trento aveva sicuramente giocato un ruolo nella costruzione di questa prospettiva.
Enrico da Metz riorganizzò il territorio dal punto di vista politico-istituzionale: costrinse potenti famiglie nobili a riconoscere la sovranità feudale del vescovo, fortificò alcuni castelli e ne fece distruggere altri. Notevole fu anche l'impegno in campo ecclesiale: convocò tre sinodi, redasse svariate norme statutarie (alcune delle quali promulgate dal suo successore), riformò enti monastici, istituì stabilmente l'ufficio di un vicario generale per la materia spirituale con competenze distinte dall'ambito civile. Morì il 9 ottobre 1336, e venne sepolto nell'abside destra della cattedrale.
La contea era allora governata da Carlo di Lussemburgo, figlio del re di Boemia Giovanni, il quale fungeva da tutore per la giovane coppia formata da suo fratello Giovanni Enrico e da Margherita, figlia di Enrico del Tirolo (morto nel 1335). «In quel tempo nominammo Nicolò da Brno, nostro cancelliere, vescovo di Trento»: così Carlo ricordava, a molti anni di distanza, l'elezione del successore di Enrico da Metz, con un tono che lascia poco spazio ad ipotesi diverse per ricostruire il contesto politico in cui maturò, in tempi estremamente rapidi, la scelta del nuovo presule. L'opposizione di papa Benedetto XII, che rifiutò per due anni di confermare l'elezione (formalmente voluta dal capitolo della cattedrale), sembra determinata più che altro dal disappunto per il mancato rispetto della riserva pontificia; il papa accettò infine la candidatura e, annullata l'elezione, il 3 luglio 1338 nominò Nicolò da Brno vescovo di Trento. La casa di Lussemburgo poneva così per la seconda volta consecutiva un proprio cancelliere sulla cattedra di San Vigilio, continuando così ad avere a Trento un punto di appoggio per i propri progetti di espansione dinastica.
Nicolò, in strettissimi rapporti con Carlo di Lussemburgo (il quale gli affidò persino l'incarico di governatore della contea), tentò a sua volta di limitare il potere della nobiltà e di ridare unità al principato. Lo stemma nobiliare dell'aquila di san Venceslao, concesso il 9 agosto 1339 dal re di Boemia Giovanni, doveva essere il simbolo di questa rinnovata unità. Va detto che il vescovo moravo per quanto molto impegnato nell'attività politica e amministrativa seppe dare un apporto significativo anche alla crescita spirituale dei suoi fedeli, attraverso la convocazione di sinodi e la promulgazione di statuti che esprimevano insieme la continuità di governo rispetto all'episcopato di Enrico da Metz e la preoccupazione per il buon andamento della diocesi. Accanto alle denunce (in certa misura interessate) contro gli illeciti detentori dei beni ecclesiastici, si trovano articoli contro gli accaparratori di generi di sussistenza e contro gli usurai.
L'egemonia dei Lussemburgo sul Tirolo cominciò a mostrare segni di logoramento già alla fine degli anni trenta. Il governo boemo, nel tentativo di limitare il potere della nobiltà tirolese, attirò su di sè rancori e diffidenze; il malcontento nasceva anche dall'ampio utilizzo di personale straniero nell'amministrazione del territorio. Coloro che qualche anno prima si erano schierati con i Lussemburgo cercarono così nuovi appoggi e intavolarono trattative con i Wittelsbach, la famiglia che in quel momento deteneva una contrastata corona imperiale, proponendo a Ludovico IV un intervento che portasse alla fine dell'unione tra Margherita e Giovanni Enrico e ad un nuovo matrimonio tra la contessa e Ludovico di Brandeburgo, il figlio dell'imperatore. Il 2 novembre 1341 Giovanni Enrico, al ritorno dalla caccia, trovò sbarrate le porte di Castel Tirolo e dovette rifugiarsi ad Aquileia, accompagnato dal vescovo di Trento. Tra lo scandalo dei contemporanei, l'imperatore dichiarò nullo il primo matrimonio di Margherita; le seconde nozze, presto celebrate, tolsero il Tirolo dall'orbita boema e lo posero in quella bavarese.