Storie di calcio sovietico
Mercoledì 27 aprile 2011, alle 17,30, a Trento, nella Sala degli affreschi della Biblioteca comunale (Via Roma 55), il Centro Studi sulla Storia dell'Europa Orientale organizza lincontro-dibattito Storie di calcio sovietico.
Intervengono Mario Alessandro Curletto e Marco Iaria. Introduce Carlo Martinelli.
Due recenti volumi, I piedi dei Soviet. Il futbòl dalla Rivoluzione dOttobre alla morte di Stalin di Mario Alessandro Curletto (Il Melangolo) e Donne, vodka e gulag. Eduard Streltsov, il campione di Marco Iaria (Lìmina), ci offrono il pretesto per ripercorrere vicende e personaggi del calcio sovietico e dei suoi rapporti con il potere.
In una società totalmente ideologizzata come quella degli anni di Stalin, era fatale che la figura del calciatore fosse utilizzata dallapparato propagandistico di stato come strumento di educazione della coscienza collettiva. Durante gli anni della Seconda guerra mondiale, a esaltazione delleroismo profuso dai sovietici nella difesa della patria, nacque il mito della cosiddetta partita della morte che, nella Kiev occupata dai nazisti, vide di fronte su un campo di calcio una selezione tedesca e gli indomiti giocatori della locale Dinamo, che non si piegarono alle minacce e sconfissero i rivali. Quattro di loro pagarono un simile affronto con la vita, almeno secondo la versione che più piaceva all'apparato e che venne immortalata da letteratura e cinema. Decenni dopo si dimostrò che quell'atto non era stato così eroico...
Altre volte i calciatori sovietici non riuscirono a mantenere alto di fronte al mondo lonore dellURSS e di Stalin: ciò accadde per esempio in occasione delle Olimpiadi di Helsinki del 1952, quando si trovarono opposti alla fortissima nazionale della Jugoslavia di Tito. Le due partite furono qualcosa di simile a una battaglia in cui calcio e politica si intrecciarono e che non rimase senza conseguenze per gli sfortunati protagonisti, che al ritorno in Unione Sovietica pagarono il loro insuccesso...
Nel suo lavoro Curletto descrive il calcio nella specificità del dopo Rivoluzione dOttobre, con le commissioni politiche che si riuniscono per stabilire se e quanto sia borghese uno sport portato dagli inglesi. Il calcio si trovò al centro di un aspro dibattito ideologico, con i più intransigenti sostenitori del Proletkult che volevano vietarlo perché diseducativo: specie per i dribbling e le finte, giudicati manifestazioni tipiche dellinganno individualista che governa la società borghese.
Non tutta lintelligentsiya la pensava così. Soprattutto non la pensava così la popolazione, che amava il calcio comera e proprio non voleva saperne di riforme moralizzatrici. E si capisce: specie negli anni trenta, in un contesto politico oppressivo e simbolicamente segnato da parate militari, sfilate ginniche e consimili cerimonie laiche, il calcio avrebbe rappresentato lunico evento di massa capace di risvegliare quel sentimento dimprevedibilità che nutre ogni aspettativa di miglioramento della propria condizione.
Iaria ci racconta invece la terribile vicenda di Eduard Streltsov, punta della Torpedo Mosca, che qualcuno ha definito il Pelé bianco. Fumava troppo, beveva troppo e piaceva alle donne. Fin da giovane ottenne la fama, merito anche del suo colpo di tacco, che ancora oggi in Russia si chiama Colpo alla Streltsov. Ma insieme alla fama presso il pubblico, cresceva anche linsofferenza dellestablishment russo verso questo giocatore che rifiutava lidea delluomo nuovo socialista, si vestiva alloccidentale, fumava troppe sigarette, beveva troppa vodka e piaceva troppo alle donne. Voleva essere solo un giocatore di pallone e non un simbolo delle conquiste del socialismo reale. Un vero talento del calcio russo, capace di segnare con la Nazionale 25 gol in 38 partite.
A 21 anni, nel maggio 1958, Streltsov si trovò sul banco degli imputati in un processo orchestrato. Accusato di stupro, alla vigilia della Coppa del Mondo in Svezia, venne condannato sulla base di prove sommarie a 12 anni di lavori forzati in un gulag.
La condanna fu poi dimezzata e Streltsov, dopo due anni dalluscita dal gulag, riuscì anche a tornare a giocare con la Torpedo e vincere, arrivando nuovamente fra i primi dieci nelle classifiche del Pallone doro. Ma ormai il fisico era debilitato e dopo un infortunio Streltsov disse addio al calcio giocato a 33 anni, nel 1970. Morì nel 1990, a soli 53 anni, giurando alla propria famiglia di essere innocente di quel reato che gli distrusse prima la carriera e poi la vita.
Il processo è ancora oggi misterioso, simbolo di unepoca e di un regime. Secondo alcuni, infatti, il calciatore fu vittima della vendetta di una donna potente, membro del Politburo del PCUS, la cui figlia il fascinoso Streltsov si era rifiutato di sposare.
Mario Alessandro Culetto insegna Letteratura e Civiltà russe allUniversità di Pavia. Ha scritto Spartak Mosca. Storie di calcio e potere nellURSS di Stalin (il melangolo, 2005); Futbolstrojka (insieme a Romano Lupi, Socialmente, 2008); e Lanima di una cattiva compagnia, vita e imprese mirabolanti di Vladimir Vysockij (insieme a Elena Buvina, Ilibri di emil, 2010).
Marco Iaria, giornalista, è nato a Reggio Calabria nel 1978. Dopo avere scritto per diverse testate nazionali, tra cui il Guerrin Sportivo, Il Sole 24 Ore Sport e il Tennis Italiano, dal 2007 lavora alla Gazzetta dello Sport.
Mario Alessandro Curletto, I piedi dei Soviet. Il futbòl dalla Rivoluzione dOttobre alla morte di Stalin (Il Melangolo, pp. 248, euro 11,00)
Marco Iaria, Donne, vodka e gulag. Eduard Streltsov, il campione (Lìmina, pp. 160 più inserto fotografico, euro 19,90)
organizzazione: Centro Studi sulla Storia dell'Europa Orientale