UTOPIA500: L'utopia della felicità

Massimo Recalcati sabato 16 aprile alle 10.30 al Teatro Sociale di Trento: essere felici è un diritto, un dovere, una vocazione?

Ingresso libero fino ad esaurimento posti. I biglietti possono essere ritirati presso il Teatro Sociale a partire da un'ora prima dell'appuntamento.

Essere felici è un dovere? Un diritto? (gli Stati Uniti l’hanno inserito nella loro carta costituzionale) Una vocazione? Un impegno esistenziale? In ogni caso, la felicità è forse la più grande e attraente di tutte le utopie. Sull’isola immaginata da Thomas More, Utopia, appunto, cinquecento anni fa, la finalità del vivere comune senza proprietà privata e senza denaro è proprio il ben-essere, l’onesto piacere, in altre parole la possibile felicità.

Massimo Recalcati, psicanalista lacaniano e filosofo, uno degli intellettuali più spiazzanti e ascoltati oggi in Italia, l’affronterà in dialogo con la giornalista della Rai Cinzia Toller. Nella sua rubrica sulla Repubblica “I tabù del mondo”, domenica scorsa, Recalcati scriveva: “I nostri figli non sono forse animati da domande imperative, dalla spinta a realizzare il prima possibile un godimento che non tollera più alcun differimento? Non è questo forse uno scoglio sul quale sembra infrangersi il discorso educativo contemporaneo?”.

Recalcati negli ultimi anni ha criticato in modo serrato e originale molti luoghi comuni (per esempio, il primato dell’emozione amorosa, rivalutando l’avventura della fedeltà coniugale rinnovata ogni giorno) e ha gettato nuova luce su ancestrali relazioni umane, come quella tra madre e figlio, e su professioni fondamentali per la società di oggi come quella di ieri, scrivendo un bellissimo saggio sull’erotica dell’insegnamento, essenziale ponte intergenerazionale.

Ha scritto Franco Lolli su Alias - Il manifesto, recensendo l’ultimo monumentale lavoro di Recalcati sul “suo” Lacan: “Il potere del desiderio di contrastare le derive autolesive del godimento, un godimento non più regolato dal limite che il sistema simbolico ha tradizionalmente imposto, trova nell’intero lavoro di Recalcati una accentuazione che lo percorre trasversalmente, la cui più fondata giustificazione sta proprio nella pratica psicoterapeutica. Il trattamento psicoanalitico riesce nella misura in cui, attraverso il dispositivo significante sul quale è basato (l’utilizzo esclusivo della parola, la non reciprocità della relazione terapeutica, il rispetto di regole necessarie al funzionamento del setting, l’istituzione di un ritmo di presenza-assenza, la promozione della capacità di attendere e della possibilità di sopportare il rinvio, e così via), è in grado di agire sull’economia libidica sintomatica, facendo sì che il soggetto possa mettere al proprio servizio quell’eccesso pulsionale dal quale sarebbe, altrimenti, tendenzialmente cancellato.

È questo un dato clinico incontestabile che Recalcati ha messo al centro del proprio lavoro riuscendo a farne una chiave di interpretazione del presente, così come l’hanno restituita i suoi testi più noti, Cosa resta del padre, Il complesso di Telemaco, L’ora di lezione, dotati di una innegabile forza di penetrazione nell’opinione pubblica. Di questa sua posizione – nella quale alcuni commentatori hanno visto risvolti problematici sul piano teorico, per la possibile esposizione a letture di tipo nostalgico, motrici di sentimenti di rimpianto nei confronti di un ordine culturale superato dalla storia – l’argomentazione sul piano clinico manifesta, al contrario, una coerenza difficilmente confutabile: la prepotenza pulsionale in gioco nelle cosiddette nuove forme del sintomo – attacchi di panico, dipendenze, depressioni, sociopatie adolescenziali, tendenze all’isolamento, iperattività infantili – può essere contenuta e canalizzata in ‘altro’ solo grazie ad un assetto terapeutico che funzioni, a tutti gli effetti, come argine simbolico. Detto altrimenti: le possibilità di cura del disagio contemporaneo sono profondamente dipendenti dalla forza con cui l’intervento terapeutico sa imporre una misura, una continenza, un principio di moderazione alla pulsione di morte che, nelle sue molteplici manifestazioni, spicca come tendenza dominante del mondo occidentale”.

MASSIMO RECALCATI, nato nel 1959, vive e lavora come psicoanalista a Milano. Ha fatto parte del Campo freudiano per anni occupando incarichi istituzionali nazionali e internazionali. Attualmente è membro analista dell’Associazione lacaniana italiana di psicoanalisi e di Espace Analytique.

Ha insegnato nelle Università di Padova, Urbino, di Bergamo e di Losanna. Insegna Psicopatologia del comportamento alimentare presso l’Università degli Studi di Pavia. È direttore scientifico della Scuola di specializzazione in psicoterapia Irpa  - Istituto di Ricerca di Psicoanalisi Applicata. Nel gennaio del 2003, insieme ad alcuni amici e colleghi, ha fondato Jonas Onlus Centro di clinica psicoanalitica per i nuovi sintomi. Il suo lavoro teorico sull’insegnamento di Jacques Lacan e le sue ricerche cliniche sulla Psicopatologia contemporanea, in particolare sull’anoressia, la bulimia e i disturbi alimentari e la sua riflessione sulla figura del padre nell’epoca ipermoderna, sono diventati punti di riferimento e di formazione stabili e riconosciuti.

Paolo Ghezzi - direttore editoriale casa editrice il margine coordinatore progetto utopia500

13/04/2016