Realismo magico

Un percorso evocativo e di atmosfere sospese al Mart racconta la pittura italiana tra gli anni Venti e Trenta del Novecento  

“Una mostra fatta di evocazioni, non strettamente cronologica anche se l’asse temporale è tenuto presente. Gli anni Venti del Novecento costituiscono il cuore del periodo considerato, con un piccolo affondo negli anni Trenta, ma la disposizione delle opere segue l’idea di creare collisioni e analogie, non di dare una sequenza temporale”.

Esordisce con questo sguardo Valerio Terraroli – curatore dell’iniziativa insieme a Gabriella Belli – nel presentare Realismo Magico. L’incanto della pittura italiana negli anni venti e Trenta, la mostra che sarà visitabile al Mart fino al 2 aprile e verrà poi riallestita a Helsinki e a Essen.

“Una poetica sottile, delicata, fortissima ma non strutturata ideologicamente quella del realismo magico, che non ha mai avuto un manifesto o un nume tutelare -prosegue il curatore -. L’intento è stato quello di offrire un percorso in un labirinto seguendo delle tracce, in primis Massimo Bontempelli che ha creato l’ossimoro 'realismo magico', italianizzando il termine, preceduto da Franca Roh, il critico che in un saggio del 1925 sancisce la nascita di realismo magico. Da sottolineare che non si tratta di un n sinonimo della 'nuova oggettività', ne è una parte.

Il realismo significa nuovamente ragionare sull’arte come mimesis della realtà . In mostra ci sono quadri apparentemente chiari, tranquillizzanti, che si allontanano dall'estetica delle avanguardie che avevano 'rigirato il mondo'. Una pittura che sembra tornare al passato, ma non si tratta di un ritorno nostalgico, piuttosto del tentativo di ritrovare e di riaccendere le radici lontane dell’arte italiana che risalgono alla modernità, quelle che Vasari aveva riconosciuto in Giotto e che poi erano state approfondite dagli artisti dell’Umanesimo. Il riferimento va a nomi quali Piero della Francesca e Paolo Uccello che avevano trovato le formule per raccontare la realtà attraverso la ragione.

Dietro le immagini in mostra c’è un mistero, una ricerca dell’età dell’innocenza perduta percorsa da Henri Rousseau. Una ricerca che si fa carico dele speranze deluse a proposito delle magnifiche sorti progressive distrutte dal conflitto mondiale. Sono immagini che mantengono la tensione di rappresentare il dato di realtà con qualcosa che dietro appare e mette inquietudine".

Terraroli si sofferma quindi sul percorso della mostra, che si apre con Le figlie di Loth di Carlo Carrà e con altri pittori quali Severini e Malerba, la cui estetica rappresenta il preludio del realismo magico. Si prosegue con una sala dedicata al Novecento italiano di Sarfatti per arrivare al cuore della mostra con tre monografiche dedicate a Cagnaccio di San Pietro, Antonio Donghi, Felice Casorati, i tre principali esponenti del realismo magico italiano.

Accanto agli interpreti più noti operano alcuni artisti attivi nelle realtà più locali dell’arte veneziana, triestina, torinese e romana, a conferma della trasversalità di temi e stili su cui converge l’esperienza pittorica italiana di quei decenni. Tra questi Mario e Edita Broglio, Leonor Fini, Arturo Nathan, Carlo Sbisà, Carlo Socrate e Cesare Sofianopulo, Gregorio Sciltian. Proprio lo splendido autoritratto de L'uomo che si pettina di Sciltian conclude il percorso espositivo.


05/12/2017