Maternage. Tracce di un viaggio
Al Museo diocesano tridentino un percorso fisico, emotivo, sensoriale, conoscitivo attorno al tema della disabilità.
Maternage” ha radici nel 2008 quando Carlo Riva, direttore de l’abilità, ha visto la mia installazione “A FIDO I wish you were here” sull’affido familiare. Da allora la brochure “A FIDO” è rimasta in una scatola delle scarpe di Carlo. Quando “In viaggio senza valigie” è arrivato alla fermata “Cerchiamo un’artista che faccia con gli oggetti delle valigie un’opera d’arte” è riemersa la brochure, così si è attivato il contatto fra di noi.
Nel 2014 è iniziata la fase di ricerca e osservazione sul tema “prima comunicazione della disabilità a genitori”.
Il primo contatto nei progetti che avvio è senza parole. Muta e trasparente osservo, ascolto, assorbo. È un esercizio che mi mette al riparo dall’essere nella relazione e mi dà la possibilità di vagare liberamente fra le persone senza essere vista.
È qui che c’è stato un gesto potente che mi ha orientato verso la parola maternage. Un padre solleva da terra la bambina piccolissima tenendola raccolta fra le mani mentre le gambe esili e rosa si muovono nell’aria senza gravità. La bambina non ha i tutori e il padre dove sostenerla per non farle del male. Ma senza il contesto problematico quell’immagine è poesia, è danza, è bellezza.
Maternage è la propensione alla cura del bambino che travalica i generi. “Maternage - un viaggio senza valigie” è la ridefinizione della famiglia, della coppia, dei fratelli. Un evento così inaspettato travolge la coppia e ne forza i ruoli fino a farne modelli nuovi, inesplorati. Maternage è il futuro presente in cui l’uomo si sveste del ruolo disseccato della tradizione e mette l’abito delle emozio
Ho pensato Maternage come un rito di passaggio, un percorso fisico, emotivo, sensoriale, conoscitivo.
Maternage è un’annunciazione. Il parto dell’uomo provoca pianto. Ma le lacrime sono ebollizione emotiva e anche la possibilità di vedere il mondo in forma nuova. Lo sguardo sociale si incrocia così con il mio sguardo: un grande pallone gonfiato d’aria rispecchia, ricalca, gioca con la realtà alterata ed accompagnata da voci che nel privato delle proprie orecchie risuonano di sguardi.
Sguardi osceni perché irraccontabili, perché offensivi, perché mortiferi, perché assoluti, perché rigati da difficoltà. Ritorna lo specchio deformante che ho usato nel 2014 per il ritratto interiore nel progetto sull’Alzheimer, e subito dopo nei cuscini specchianti di “Non posso vivere senza di te / Non vivrai senza di me” il primo lavoro sulla violenza di genere.
L’osceno in Maternage si sente subito, si annusa dalle cipolle a terra. La cipolla induce il pianto e contemporaneamente ammorba l’aria di odori sgraziati.
Ma lo sguardo è anche amore, bellezza e grazia. È il Mare. È Dio. È Amore assoluto che si stacca dalle convenzioni e le frantuma.
È Dolcezza profonda. È un percorso di nascita illuminato nella stanza da odori dolci e oggetti organizzati secondo le variazioni di colore. Inondato di luce, di oggetti, di parole che escono dal muro. Viene quindi naturale pensare alla famiglia, alle famiglie, agli insiemi di famiglie fatte di valigie ripiene di materia-simbolica, di materia-metafora estratta dai racconti.
Note biografiche:
La ricerca artistica relazionale di Laura Morelli inizia con la costruzione di macchine il cui apice è “survivor” una sedia robotica che cammina (2003) sui sopravvissuti alle mine antipersona. Da allora l’interesse per i meccanismi relazionali si combinano con il sociale e l’artista passa al coinvolgimento diretto e attivo di gruppi di persone che vivono particolari condizioni sociali valorizzandone i linguaggi marginali e le istanze sociali. Ha lavorato in Italia, Laos, Mali, Thailandia, Bangladesh, Malawi, Bolivia, Cambogia. Nel 2006 fonda l’associazione Di + di cui è presidente.
dall'intervista di Silvia Mascheroni a Laura Morelli
16/03/2016